Nei giorni dell’ormai lontano lockdown in molti abbiamo vissuto l’ebbrezza di dare una sbirciatina virtuale all’interno di alcuni tra i più importanti musei d’Europa.
Le strutture più solide, infatti, sono state in grado di rispondere all’emergenza colmando la lontananza delle persone dai siti con tour virtuali e strumenti digitali.
Una strategia assolutamente funzionale ma non scontata.
Seppure i vantaggi di una cultura tech sono evidenti, non sono facilmente raggiungibili. Soprattutto se si pensa che in Italia meno di due musei su tre possiedono un sito web dedicato.
E questo, in un mondo nel quale non avere presenza digitale equivale a non esistere, è un bel problema!
La prima necessità è quindi quella di scardinare l’idea di un settore culturale che abbia poco a che fare con l’imprenditoria e la managerialità. Anzi è proprio lo sbocco imprenditoriale che permette al sapere culturale e accademico di aprirsi a tutta la comunità.
Questo non solo perché il comparto culturale e creativo corrisponde a 92 miliardi di valore aggiunto (che si moltiplicano poi negli altri settori di mercato annessi).
Ma soprattutto perché deve rimanere chiaro che dietro ad ogni museo, ente o istituto si trova una vera e propria impresa culturale; che necessita di una molteplicità di professionalità e di competenze specifiche.
E proprio le competenze sono il fulcro della nascente cultura tech!
Infatti il proliferare di nuovi strumenti e strategie culturali dal sapore digitale deve essere necessariamente accompagnato da un reskilling che permetta la fusione tra “antico” e “moderno”.
Ma torniamo alla domanda iniziale, perché abbiamo bisogno di una cultura tech?
Durante la pandemia gli strumenti digitali sono stati degli ottimi sostituti alle attività in presenza, ma nel prossimo futuro potranno essere il mezzo per arricchire la fruizione dei siti culturali.
La tecnologia può infatti valorizzare il prodotto culturale, incrementando la partecipazione da parte del pubblico. Il marketing ci insegna l’importanza dell’esperienza per un utente che fruisca di un prodotto o un servizio.
Coinvolgere il pubblico in modo interattivo, dare la possibilità di produrre e condividere contenuti digitali sull’esperienza culturale, tutto questo si traduce in arricchimento.
Da una parte perché la persona si sente al centro della propria fruizione culturale. Dall’altra perché in questo modo tutti possiamo essere potenziali ambassador della nostra cultura, condividendo le nostre esperienze ed i nostri contenuti con milioni di utenti.
Non in ultimo la tecnologia ha il grande pregio di avvicinare la cultura alle persone, abbattendo le distanze geografiche e dando la possibilità di scoprire nuovi siti da visitare poi di persona!
L’ultimo tassello su cui dobbiamo ragionare è che se anche quello culturale è un settore imprenditoriale a tutti gli effetti, nel quale assistiamo ad un grande fermento tecnologico, c’è ampio spazio per le idee.
Le startup creative e culturali sono infatti un settore di mercato che sta vivendo un importante periodo di espansione. Ma quali sono gli ingredienti per lanciare una buona idea in questo ambito?
Come in tutti gli altri settori le parole d’ordine sono: innovazione, sostenibilità a lungo termine, valore aggiunto che interessi un’ampia platea.