Risorse Umane

Domare il caos non è un lavoro per pigri!

Giulia D'Innocenti

Il presente, ma soprattutto il futuro, chiama a gran voce un mondo del lavoro composto al 50% di flessibilità e per il secondo 50% di intraprendenza. Servono contesti aziendali ma soprattutto persone pronte a cavalcare il cambiamento.

Ovviamente non è un processo semplice né comodo e ci sono diversi muri da abbattere per superare strutture aziendali ormai troppo rigide. Per analizzare il complesso mondo del change management è venuto in nostro aiuto Marcello Martinez professore universitario e membro di AIDP.

Cominciamo definendo quali sono gli ostacoli da superare per attraversare la nebulosa del cambiamento?

Partiamo dal fatto che ci sono ben tre miti da sfatare sul change management.

Il primo possiamo definirlo il mito del sistema solare.
Infatti siamo abituati a pensare che in ogni organizzazione ci sia un ordine preciso e naturale. Proprio come quando guardiamo le nuvole e le interpretiamo assegnandogli delle forme note.

Questo perché siamo inclini alla paleidolia, la tendenza istintiva a trovare strutture in elementi complessi e disordinati. Ma, come ci ricorda Karl Popper, non ci sono sistemi più imprevedibili e disordinati di quelli sociali e tra questi rientrano ovviamente le organizzazioni con la loro complessità.

Il secondo mito da sfatare è quello della tavola rotonda.

Si parla sempre più della necessità di eliminare le gerarchie nelle organizzazioni, per arrivare ad un allineamento di figure decisionali, come appunto in una grande tavola rotonda.

In realtà il passaggio da fare non è da una gerarchia burocratica ad una parità generalizzata. Piuttosto è necessario che emergano delle figure che racchiudano in sé leadership e responsabilità.

Si tratta di un principio etico, l’obiettivo a cui tendere è un’organizzazione intesa come una comunità di persone, all’interno della quale la figura del leader abbia la responsabilità di quest’ultime, anche nel momento in cui deve prendere decisioni difficili.

È proprio questo che rende un’organizzazione “morale”. Come osservava infatti il filosofo Emmanuel Levinos la moralità non finisce con l’omicidio di Caino, ma cessa alla sua risposta “sono forse io il custode di mio fratello?”

In ultimo, ma non per importanza, dobbiamo sfatare il mito del masterchef.

Vediamo in TV questi programmi in cui è imperante una “cucina militarizzata”, la chiave del successo infatti è riprodurre perfettamente la ricetta del grande chef in questione.

Ecco, nel change management non esistono ricette pronte o dei nuovi modelli precostituiti per modificare le organizzazioni. In questi processi non è la capacità di replicare a vincere, ma al contrario quella di combinare elementi in maniera originale.

Bisogna amalgamare le persone presenti in azienda come se stessimo organizzando una cena improvvisata con i soli ingredienti che abbiamo nel frigorifero. Come in una sorta di “jazz cuisine”. 

la forma massima di conoscenza è la magia” intesa come espressione di energia. In altre parole la mossa vincente equivale ad associare pensieri e ricombinare idee in modi originali, ai quali nessuno era ancora arrivato. È quello che oggi definiamo Service Design Thinking.
Giordano Bruno

Queste sono quindi le barriere da infrangere prima ancora di cominciare a parlare di change management.

Ma andando oltre i falsi miti, si parla spesso del benessere delle persone in azienda, ma i conflitti possono generare allo stesso modo proattività e soluzioni positive?

Nel change management il conflitto è fisiologico. Ovviamente né un livello eccessivo di conflitto, né un contesto di “yes man” potranno mai essere costruttivi. In entrambe queste situazioni, infatti, anche i contributi eccellenti finiscono per essere trascurati e non si riesce ad innovare.

Invece il conflitto ben gestito è utile al contesto aziendale, chiaramente si deve trattare di un conflitto “sull’oggetto” e non personale. Ma apprendere tecniche di gestione del conflitto e di negoziazione è fondamentale. Perché bisogna imparare a gestire queste situazioni, anche se ci fa paura uscire dalla nostra comfort zone.

Quindi le persone devono domare il caos o alimentarlo? Soprattutto si può alimentare il caos a favore anche della creatività personale?

Ovviamente c’è una predisposizione personale, ma si può rispondere con un famoso aneddoto.

Un pellegrino lungo la strada incontra tre persone che con un piccone rompono delle pietre e a tutte e tre chiede cosa stiano facendo. La prima risponde che sta spaccando pietre con gran fatica, la seconda dice che sta lavorando per sostentare la famiglia e l’ultima che sta costruendo una cattedrale.

La questione è proprio questa: per creare engagement nel processo di cambiamento, bisogna creare una visione comune. Se infatti sappiamo che c’è qualcosa oltre, che stiamo lavorando per qualcosa di più grande, saremo disposti a metterci in gioco e ad accettare anche i momenti di caos.

Il change management è come un cantiere, serve un ingegnere che gestisca i lavori ma anche e soprattutto un architetto che abbia un’idea e la trasmetta agli altri. 

Dovremmo cominciare a lavorare su questo già dalle università, stimolando il pensiero per fare sì che i ragazzi guardino oltre il lavoro esecutivo, verso idee per costruire un futuro migliore. È questa l’employability di oggi.

Ma in tutto questo, i contesti aziendali sono già pronti ad un caos costruttivo per fare il salto di qualità?

Il contesto può essere più o meno pronto, ma il consulente non deve stravolgere dando all’azienda un modello già pronto. Deve piuttosto avere un ruolo di specchio deformato così da innescare dei processi cambiamento che non siano il risultato di ricette pronte (l’effetto “masterchef” dicevamo).

Il cambiamento non è un banale passaggio da uno stato A ad uno stato B. 

Anche se inizialmente i risultati dell’azienda non saranno chiari o perfetti, l’importante è tendere verso il miglioramento, anche perché l’azienda perfetta non esiste. 

Ecco perché domare il caos non può essere un lavoro per pigri, perché bisogna investire tantissima energia, combattere l’entropia generata dal cambiamento per indirizzarla verso risultati costruttivi. Un lavoro complesso certo, che comporta impegno e perseveranza, ma soprattutto un netto cambiamento di mindset.

Giulia D'Innocenti

Content Creator

Il mio percorso professionale mi ha portato a spaziare dalla psicologia all’ambito della comunicazione e del marketing, passando per il mondo delle risorse umane, specialmente nei settori del recruiting e dell’employer branding. Sono appassionata del mondo digitale e di tutte le sue applicazioni, soprattutto le più innovative. Mi occupo della creazione di contenuti per la comunicazione social e di copywriting per contenuti di blog.

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