Anna Maria Bagnasco
Agente di viaggio e content creator
Anna Maria Bagnasco
La comunicazione assume un ruolo chiave nei momenti d’ emergenza. Si tratta però di un processo molto complesso che in molti casi risulta fuorviato e tradito.
Abbiamo provato ad approfondire un tema complesso e sfaccettato come quello della comunicazione di crisi con Emiliana Mangone, professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università degli Studi di Salerno.
L’ultimo anno di emergenza sanitaria ha evidenziato quanto la comunicazione sia in grado di influenzare comportamenti personali e collettivi. Ha rivelato inoltre quanto sia importante scegliere i messaggi da divulgare e quelli da tacere.
Il fatto di non poter uscire di casa e di non avere a disposizione riscontri diretti di quello che stava accadendo, ha innescato il bisogno di cercare informazioni coerenti da fonti autorevoli. Il compito delle istituzioni è diventato quindi diffondere notizie chiare e coerenti, seguire una strategia mirata, interpretare lo sviluppo dei possibili scenari, nominare di volta in volta un portavoce accreditato.
Solo una comunicazione di crisi con queste caratteristiche può infondere un senso di fiducia nel destinatario e rendere ai suoi occhi il mittente credibile e competente.
Alcuni studi evidenziano che sui luoghi di lavoro manca una comunicazione di qualità e ciò produce un divario sempre più profondo tra dipendenti e dirigenti.
L’ambiente diventa quindi ostile. Si lavora male a scapito di produttività e innovazione, comunemente favorite piuttosto dall’intesa di più personalità e dallo sviluppo di nuove idee pienamente condivise.
La fiducia, diversamente, favorisce il lavoro di squadra, la collaborazione, il raggiungimento degli obiettivi aziendali e la crescita economica.
I vantaggi dati da un clima aziendale basato sulla fiducia sono visibili anche nella semplificazione dei processi decisionali e di cambiamento, che saranno accettati in maniera più naturale da dipendenti e lavoratori che sono fidelizzati e si sentono partecipi della cultura aziendale.
In Italia, la maggior parte dei cittadini, pur essendosi affidata ai media tradizionali per aggiornarsi sull’evoluzione della pandemia, ha riscontrato dei bias di comunicazione. Si tratta di informazioni che sono state corrotte dalla presenza di pregiudizi, interessi, dalla mancanza di ordine e uniformità.
Possiamo dire che nella società attuale, basata sull’immagine, una comunicazione distorta accompagnata da una figurazione altrettanto falsata ha un effetto dirompente sul destinatario che si trova già in difficoltà a dover trattare e interpretare migliaia di informazioni al giorno.
Riferendoci sempre all’Italia, i canali di comunicazione sono concentrati nelle mani di pochi proprietari e i media sono influenzati dalla necessità di fare audience.
Questo porta all’assenza di un vero e proprio contraddittorio, o addirittura alla scomparsa di quel giornalismo d’inchiesta serio presente fino a qualche decennio fa.
Non viene data la possibilità al cittadino di usare spirito critico, mentre il rischio concreto è che i mezzi di comunicazione espongano posizioni rielaborate indicando già cosa sia giusto e cosa sia sbagliato.
La buona comunicazione di crisi deve tenere conto di questi aspetti:
Ognuno di noi può fare la propria parte sperimentando un acuto senso critico e abbandonando la superficialità, per avanzare il diritto a una comunicazione completa, esaustiva e responsabile.
Anche il digitale può fare la sua parte cercando di difendere una comunicazione di qualità, riducendo la diffusione di “fake-news” e tirando le fila di una vasta quantità di informazioni spesso scollegate.
L’utilizzo del digitale, però, non deve farci dimenticare l’importanza di una comunicazione di presenza e di prossimità. In occasione della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, Papa Francesco dice: “La sfida che ci attende è quella di comunicare incontrando le persone dove e come sono”.