Le teorie sulla leadership sono svariate, ma cerchiamo di fare il punto della situazione.
Come si può riassumere questo concetto così complesso?
Daniel Goleman, psicologo americano, definisce la leadership come la capacità di indirizzare le persone verso un obiettivo comune ottimizzando il lavoro.
Lo studioso evidenzia sei stili principali di leadership.
Ma nel quotidiano cosa vuol dire essere un buon leader?
Dobbiamo fare un passo indietro: una leadership ottimale afferisce all’area delle emozioni e si basa su una forte componente empatica. Non abbiamo bisogno di tecnici perfetti, ma di persone che sappiano condurre un gruppo.
Inoltre bisogna considerare che questa componente empatico-emotiva è sì sviluppabile, ma in buona parte innata. D’altra parte non tutti hanno l’obbligo o l’aspirazione di essere leader.
Questo tipo di sensibilità è indispensabile per costruire un team solido ed un clima confortevole in cui tutti possano esprimersi.
Vi chiederete, come si può riconoscere un leader qualificato?
Potrà sembrare scontato ma i migliori indicatori sono i risultati.
Essere un buon leader vuol dire avere la capacità di farsi seguire dai propri collaboratori, in modo da raggiungere insieme gli obiettivi prefissati.
Gli obiettivi raggiunti, magari anche con alti standard di qualità, e l’affiatamento del team sono sicuramente dei segnali positivi.
Ovviamente anche la soddisfazione delle risorse è un KPI eccezionale.
Una risorsa valorizzata lavorerà con entusiasmo e determinazione, al contrario dover sopportare un pessimo capo è una delle principali cause di dimissioni.
Necessari per un buon leader sono poi la competenza (ovviamente), il confronto, la comunicazione continua, l’onestà intellettuale nel riconoscere i propri errori e chiedere scusa.