Trend sociali

“Ageism”: la discriminazione basata sull’età

Edoardo Cippitelli

In un mondo caratterizzato da trasformazioni sempre più rapide e inarrestabili, c’è sempre meno spazio per coloro che non riescono a stare al passo coi tempi. È proprio in questo scenario dai contorni futuristi che emerge il tema dell’ageismo.

Qui vogliamo fare un focus sulle discriminazioni legate all’età anagrafica, analizzata in rapporto all’innovazione e al tema della diversity e inclusion. 

Che cos’è l’ageismo?

Il termine “Ageism” è stato coniato nel 1969 dallo psichiatra statunitense Robert Neil Butler. In italiano è stato impropriamente tradotto con la parola “Ageismo” che ha un’accezione molto delicata e profonda. 

“È un’alterazione nei sentimenti, nelle credenze… – quindi che ha una serie di conseguenze sui nostri comportamenti – … in risposta a come noi percepiamo un individuo o un gruppo di individui rispetto a una variabile, a un aspetto ben specifico: che è l’età.”
La professoressa Erika Borella

Chi riguarda? Putroppo tutte le età.

Sebbene in origine il termine indicasse esclusivamente la discriminazione nei confronti dei più anziani, oggi il suo significato si è ampliato, andando a coinvolgere anche i giovani, adolescenti e bambini compresi.

Ciò significa che gli anziati non sono solo discriminati, ma anche discriminatori. Questo fatto, sottolinea la complessità e la democraticità (se può consolare un minimo) dell’ageismo.

Esso è infatti ben insito nella nostra società, nel nostro modo di pensare e si moltiplica come un virus, attraverso i molteplici punti di vista. Così come un sessantenne potrebbe stereotipare i comportamenti di un ottantenne, allo stesso modo un trentenne potrebbe discriminare l’apparente inesperienza e frivolezza di un ventenne. Non ci sono limiti, se non le età che abbiamo.

Che cosa ci dicono le statistiche

I dati Istat parlano chiaro: nel nostro paese ci sono circa 170 anziani ogni 100 giovani. 

Questo sembrerebbe dirci che l’Italia è un paese più vecchio che giovane, e mentre ci si domanda come mai ciò sia possibile e cosa fare per riequilibrare i numeri, bisogna altresì considerare un aspetto molto importante. Quanto positivo è l’impatto che i 170 anziani hanno sulla prestazione complessiva del nostro paese e, se positivo, come e di quanto può tale contributo essere migliorato.

Nel nostro paese, il totale tasso di occupazione per la fascia di età 15-64 anni è al 56,5%. Di questo gruppo, i più avvantaggiati sono quelli della fascia centrale (35-49 anni), il cui tasso di occupazione è al 71,6%; giovani (25-34 anni) e “vecchi” (50-64 anni) rispondono entrambi ad un tasso di occupazione del 59,1%.

Prendere visione di quest’ultimo dato, significa decidere di abbandonare l’idea radicata che gli anziani sottraggano posti di lavoro ai giovani neolaureati.

Tale concezione, secondo Giancarlo Magni, appartiene ad una società statica. In una società dinamica che rappresenta il modello di società desiderabile le necessità cambiano continuamente, aggiungendo opportunità piuttosto che sottrarle.

La colpa di un alto tasso di disoccupazione giovanile, in poche parole, non può attribuirsi ai sessantenni desiderosi di lavoro, ma piuttosto all’incapacità di un governo di vivacizzare il proprio modello sociale.

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Uniti, non scontrati.

Oggi, i giovani si sentono sempre più privati di opportunità; molto spesso, non vengono neanche presi in considerazione perché giudicati “inesperti” – nel lavoro così come nella vita. L’era digitale, tuttavia, continua a mostrarci l’enorme potenziale della fascia giovanile, la cui elasticità mentale ed inventività sono spesso disarmanti. 

Alla stessa maniera, il pregiudizio nei confronti degli anziani tende ad escluderli quasi categoricamente da tutto ciò che è nuovo o rivoluzionario.

Nell’accettare un tale preconcetto mentale, non ci accorgiamo di come sia l’unione degli uni e degli altri, ovvero delle due categorie – la velocità e l’intraprendenza dei giovani insieme all’esperienza e alla capacità di ragionamento dei “più vecchi” –, ad avanzare il processo evolutivo dell’uomo.

Ma torniamo agli anziani. Se è vero che rispetto al colore della pelle, al sesso e all’appartenenza culturale, l’età riguarda tutti noi, nessuno escluso, è però vero che i più colpiti da questa discriminazione sono comunque gli anziani.

E lo sono in modo paradossale in una società demograficamente vecchia e morente, ma che, nel macro mondo occidentale, esalta, il mito della giovinezza, della velocità e della performance.

La paura di invecchiare

La “gerontofobia”, ovvero la paura di invecchiare, ci dice Nicola Palmarini, è sempre stata uno dei principali motivi di discriminazione verso l’anziano. L’idea di invecchiamento è infatti strettamente legata al concetto di declino – mantenendo così un’accezione prettamente negativa nelle nostre menti.

Eppure noi “iniziamo ad invecchiare quando nasciamo”, sostiene la professoressa Borella: l’invecchiamento riguarda dunque tutte le età. In quest’ottica, allora, invecchiare non necessariamente è negativo, ma semplicemente naturale; e l’anziano non necessariamente racchiude in sé l’idea di malattia e di fragilità…

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Essere anziani: punti di forza

Il cosiddetto “paradosso del benessere” ci dimostra che “la persona anziana riporta un maggiore benessere psicologico rispetto al giovane”. Ci sono dunque delle “potenzialità” nell’età senile: quali la capacità di apprendere e così contribuire attivamente allo sviluppo della società. 

Basti pensare alla squisita risposta dell’americano Ronald Reagan, quando, accusato di essere troppo anziano per poter ricoprire la carica di presidente degli Stati Uniti d’America, rispose: 

“Vorrei che sapeste che non ho intenzione di rendere l’età un problema di questa campagna (elettorale): non sfrutterò, per scopi politici, la giovinezza ed inesperienza dei miei avversari. …Fu Seneca o Cicerone, non ricordo quale, che disse: <>”

Esperienza, saggezza, benessere psicologico. Questi i maggiori strumenti a disposizione di coloro che molto spesso vengono giudicati solo sulla base della loro età. Strumenti che, con il giusto incoraggiamento, possono giovare non solo agli individui stessi ma anche alle loro rispettive comunità. 

“Se i vecchi potessero, se i giovani sapessero”

Apprendiamo costantemente gli uni dagli altri, ci arricchiamo di più con ogni incontro; a tal scopo, l’età non rappresenta un ostacolo, ma un vantaggio. Il giovane può evitare l’atroce esperienza del fallimento, a volte, aprendo la propria mente e ascoltando ciò che l’anziano ha da consigliare; quest’ultimo, a sua volta, piuttosto che giudicare inesperto chi gli sta di fronte, potrebbe chiedere aiuto, osservare e catturare i nuovi aspetti di un mondo in continua evoluzione, le cui novità sono spesso difficili da cogliere.

Nelle vecchie culture indigene, l’anziano era considerato il saggio della tribù: colui che più di ogni altro aveva vissuto e conosciuto. La sua presenza si avvicinava quasi a quella di una divinità: era lui a dover essere consultato per ogni decisione importante; lui a riflettere, ponderare e scegliere cosa fosse più giusto per la collettività. 

Il rispetto per gli anziani si è perso molto nel tempo, è andato scemando ad una velocità incredibile: e va recuperato. Gli anziani non sono involucri ormai vuoti, manichini inutili da appoggiare ad una parete finché durano. Essi sono portatori di storia e di consapevolezza; di valori antichi, alti, ormai superati, ma così importanti. Solo guardando indietro possiamo renderci conto di cosa stiamo sbagliando; cosa recuperare, e cosa invece abbandonare. 

Ma la persona anziana non insegna soltanto a scavare nel passato: essa può anche illustrarci il futuro. Siamo tutti mortali, purtroppo, dice la professoressa Parsi; e la lezione più grande di tutte, guardando ai nostri cari anziani, è forse proprio nell’accettazione di una tale, imprescindibile verità.

Edoardo Cippitelli

Content Writer

Content e Copy Writer. Scrivo articoli e contenuti per blog e per agenzie di comunicazione, non limitandomi ad un solo ambito. Mi piace alimentare la mia curiosità, apprendere e ricercare tutto ciò che trovo interessante – dalla psicologia ai trend sociali e all'innovazione –, per conoscere meglio il mondo che mi circonda e portare la mia scrittura verso nuovi orizzonti.

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