In teoria trovare la risorsa migliore per una vacancy è priorità dell’azienda e dei recruiter.
Un ottimo selezionatore “legge” i candidati, percependo le sensazioni trasmesse durante il colloquio, e mette in luce il potenziale di una risorsa.Nella pratica i candidati devono lavorare ad un’accurata strategia di personal branding, come fossero un nuovo prodotto lanciato sul mercato. Così da proporsi in modo ottimale e sbaragliare la concorrenza.
Ma quali sono gli strumenti fondamentali per orientarsi nel labirinto dei lavori?
Un CV sintetico, chiaro e accattivante è fondamentale, ma non basta. Un profilo LinkedIn aggiornato e attivo è un plus: pubblichiamo o condividiamo contenuti interessanti, confrontiamoci nei gruppi, aggiungiamo commenti di valore a post in trend o della stessa azienda alla quale ci proponiamo.
In una selezione spesso, a parità di hard skills, si sceglie chi si sa “vendere” meglio che, attenzione, non vuol dire strafare. Significa conoscere le proprie caratteristiche distintive da evidenziare e comunicare efficacemente. Per questo può essere utile seguire un percorso di coaching, purché valido, che fornisca strumenti per l’auto-conoscenza e la consapevolezza delle proprie competenze insieme a tecniche efficaci per ricercare, e non trovare, lavoro.
Quanto è importante presentarsi ad un colloquio con delle referenze? Possono essere il mezzo per il match con l’organizzazione dei propri sogni?
Le referenze hanno un peso e possono fare la differenza, perché mettono in luce in modo obiettivo l’approccio al lavoro della risorsa. Ma anche l’obiettività è decisiva, infatti le referenze proposte dal candidato potrebbero risultare poco funzionali per il recruiter.
E’ difficile che una persona indichi un referente non preparato in precedenza al contatto con il selezionatore. Ha un peso maggiore la reputazione reperita dal recruiter tramite un check di contatti in comune nel network del candidato o con il più classico passaparola. Di conseguenza è positivo preparare ad hoc delle referenze ma è ancora più importante curare la propria reputazione online e offline.
Ma non è solamente il selezionatore a doversi informare, il processo deve essere ambivalente. Prima di ogni colloquio le risorse devono cercare informazioni dettagliate sull’azienda, solo con questo approccio reattivo è possibile orientarsi nel labirinto dei lavori.
La pandemia ha digitalizzato le modalità di selezione, così il processo di recruiting viene velocizzato e garantisce la sicurezza dei partecipanti, ma facciamo attenzione, perchè tutto questo può far emergere delle criticità!
Il formato video al quale ci siamo abituati infatti agisce come un filtro e può mettere in difficoltà sia il candidato nel farsi conoscere e far trasparire le proprie qualità, ma anche il recruiter nel costruire una solida relazione all’interno del colloquio.
Selezionare consiste nel percepire il candidato, cogliere le sue attitudini e le piccole sfaccettature e in questo sono molto d’aiuto gli elementi non verbali, para verbali e prossemici che inevitabilmente vengono persi in una selezione virtuale.
Il recruiter deve impegnarsi ed allenarsi per non condurre colloqui virtuali piatti e monotoni, ma anche il candidato può fare la sua parte.
Chiudiamo questo articolo lasciandovi qualche consiglio pratico, ecco alcune delle best practice per un candidato durante un colloquio da remoto: