Risorse Umane

Giocando quanto puoi scoprire su di te?

Giulia D'Innocenti

Semplificando molto possiamo dire che con il termine gamification si intende l’utilizzo di elementi e processi tipici dei videogiochi in contesti non ludici.

Ma per comprendere meglio le tantissime applicazioni di questo settore abbiamo intervistato Fabio Viola, Gamification Designer e Ideatore delle Play-Able Cards.

Il punto da cui partire è sicuramente questo: perché è utile mutuare degli schemi di gioco in altri contesti?

Attraverso il gioco si apprende, si conoscono altre persone, si impara il rispetto delle regole, si acquisiscono soft skills, si utilizza il pensiero divergente. È importante ricordare che il gioco non deve rientrare necessariamente in un contenitore ludico, ma può avere risvolti ed applicazioni in molti altri ambiti, incluso quello delle risorse umane.

“Il mio lavoro è cercare di rendere coinvolgenti prodotti, processi ed esperienze del quotidiano”

Fabio Viola

Oggi la gamification, nell’ambito di ricerca e selezione del personale, potrebbe correre il rischio di snaturare il processo selettivo?

Quando una persona gioca esprime molte delle sue attitudini e caratteristiche (spirito di squadra, aggressività, capacità di collaborazione etc) e molte aziende cominciano a testare questa tipologia di skills ancora prima del colloquio in presenza.

La modalità del gioco sembra non solo efficace per la valutazione, ma anche ottimale nel mettere a proprio agio le persone, generando meno stress e non facendo percepire il “peso” della valutazione in corso.

E allora per quale motivo persistono delle resistenze, nel campo HR, verso la gamification?

Probabilmente perché la formazione incide molto sulle caratteristiche delle figure professionali e lì dove manca uno spirito innovativo ed una vocazione personale alla curiosità è più complicato seguire nuove strade. Innovare, poi, vuol dire anche assumersi una cultura del rischio.

Anche se in alcuni ambiti, tra cui per esempio e-learning ed employee engagement, la gamification ha già fatto il suo ingresso nelle grandi aziende. Questo accade perché nel mondo del lavoro stanno arrivando delle generazioni che portano con loro un vissuto all’interno del mondo dei videogiochi.

Esistono software standard - per privati o aziende - da adottare per avvicinarsi a questi scenari?

Cominciano a diffondersi delle soluzioni su licenza, con un costo medio per dipendente, negli ambiti di e-learning, sales force motivation, recruiting, talent acquisition, management.

Non sono ovviamente piattaforme disegnate su misura, ma possono essere una modalità di approccio senza eccessivo investimento sia in termini di budget che di formazione delle risorse per l’utilizzo.

Il mondo della gamification come impatta in un contesto diviso tra investimenti per l’arrivo delle nuove generazioni e risorse legate ad una cultura del lavoro “tradizionale”?

È in atto quasi un corto circuito tra i “figli della mentalità del dovere” e i “figli della mentalità del volere”.

Ovvero tra le generazioni già presenti da molti anni nel mondo del lavoro, che lo vivono come un’imposizione, e le nuove generazioni alla ricerca di un lavoro che soddisfi, che consenta uno stile di vita sano e, soprattutto, che entusiasmi.

Questo ovviamente genera un contrasto molto forte tra due concezioni opposte del lavoro in termini di spazi, tempi, modalità, relazioni.

I videogiochi fanno parte della dimensione della volontà, non c’è obbligatorietà nel gioco ma anzi sono gli stessi gamer ad acquistare strumenti per trasformare in azione le proprie abilità.

Questa dicotomia è forte e ad oggi non del tutto sanabile, infatti ci sono aziende improntate all’innovazione che abbracciano, tra le nuove modalità, anche il mondo della gamification ed altre legate invece ad una visione più tradizionale.

Il dato interessante è che tra queste due filosofie, ovviamente non solo in termini di gamification, la seconda, anche qualora si accompagni ad uno stipendio alto, risulta sempre meno attrattiva.

La talent retention quindi è un problema più che mai attuale, la gamification che strumenti validi può offrire?

Si tratta di un processo molto complesso, possiamo pensare ad uno scenario concreto per semplificarlo.

Supercell, grande azienda finlandese di videogiochi, organizza le sue persone in team autonomi.
Tutti piccoli gruppi di 4/5 risorse indipendenti, anche in termini di budget, per la progettazione di migliaia concept creativi. Da qui il nome che si rifà al concetto di “cellula”.

Questi team sviluppano migliaia di idee che solo in una piccola percentuale si trasformeranno in videogiochi commerciali. Questo modello dà totale autonomia, responsabilità, libertà ai team e la sensazione di essere parte di una start up.

In Italia, nelle aziende di medie dimensioni, gran parte degli sviluppatori che lasciano il posto lo fanno per creare una propria realtà, all’interno della quale possano essere totalmente autonomi in materia di gestione del lavoro, tempi e spazi.

La libertà è un driver fondamentale, insieme a tutti i valori etici e di sostenibilità ambientale, che riesce a fare la differenza in termini di attrattività. 

Oggi nel momento in cui si trova una realtà coerente con i propri valori può capitare di può accettare anche un salario più basso. Bisogna accettare che i parametri stanno cambiando e che non è più la produttività dell’azienda ad essere l’ago della bilancia.

Per la costruzione di un processo di gamification, in ambito HR, qual è la filiera da mettere in campo per la finalizzazione del progetto?

Persone formate nelle risorse umane, psicologi, game designer, sviluppatori che lavorino all’interno di unico lab. Perché è l’unione di professionalità diverse che lavorano a stretto contatto a fare la differenza.

I team vincenti sono quelli a maggior carattere di trasversalità, dovremmo diffonderli sempre di più nelle aziende. Ma la tendenza in alcuni casi sembra essere del tutto opposta.

In alcune realtà viene ancora mantenuto un reparto digitale verticale, ma che motivo avrebbe di esistere se quasi ogni azione che compiamo ci mette a contatto con il digital? 

Delle professionalità legate al mondo digitale e trasversali rispetto alla struttura aziendale, potrebbero invece incentivare e supportare i processi di innovazione.

La gamification potrebbe essere utile in questo processo di “deverticalizzazione”?

I videogiochi sono sistemi connettivi, collettivi, partecipativi e peer to peer. 

In più, una volta che il gioco viene lanciato sul mercato, quanto più il suo creatore si pone “dietro le quinte” e lascia spazio di modifica, rielaborazione e autonomia ai gamer, tanto più il gioco in questione avrà possibilità di avere successo ed una vita lunga.

Questo stesso metodo peer to peer ha cominciato a contaminare anche il mondo della formazione aziendale dimostrando che la gamification riesce a creare comunità interne alla forza lavoro consolidate da interessi e tematiche comuni.

La gamification quindi può essere una sorta di spinta gentile a supporto delle relazioni all’interno dei contesti aziendali, superando logiche di organigramma e dipartimenti. Tutto questo perché la gamification si basa sul design delle emozioni e della motivazione e può creare le condizioni ottimali perché le persone riescano ad esprimere al meglio il proprio potenziale produttivo e creativo.

Ragionando invece sullo strumento delle Play-Able Cards, che hai ideato, come può uno strumento di gioco come le carte generare coinvolgimento, motivazione fino anche a modificare il proprio modo di vedere la realtà aziendale?

Le Play-Able Cards sono un database di strumenti creativi e di progettazione riassunto di un’esperienza di lavoro sul campo.

Questo strumento si basa su un assioma fondamentale: non esiste un singolo videogioco in cui si riesca a percorrere il tragitto dal punto iniziale fino a quello finale senza fallimenti.
Capiterà di perdere una “vita” all’interno del gioco e scoraggiarsi almeno una volta davanti alla schermata di game over. Ovviamente questo non è gratificante, ma la sconfitta del giocatore può essere un mezzo per trasferire conoscenza.

Sono dei momenti di crescita personale progettati ad hoc all’interno del gioco, durante i quali è fondamentale condividere un’informazione, perché il livello della sfida sta per diventare più complicato.

Queste carte hanno lo stesso scopo: trasferire spunti creativi che possono essere utili alle aziende per ideare un progetto supportato dalle professionalità elencate precedentemente.

Parlando invece di trend attuali del mondo del lavoro, quanta attenzione c’è, durante la fase di progettazione degli strumenti di gamification, nel trasferimento di valori legati ai temi dell’inclusione e del gender pay gap?

È un binomio da approfondire, ci sono decine di aziende, anche in Italia, che sono interessate ad approfondire questi fronti con modalità di gamification. Il punto critico però è che spesso si tratta di progetti una tantum che non permettono di costruire un percorso progressivo di approfondimento.

Non rimane quindi un’eredità all’interno dell’azienda su questi progetti, ecco perché potrebbe essere fondamentale la figura stabile del game designer all’interno delle organizzazioni.

In modo che diffonda e lasci anche alle risorse future non solo conoscenze di settore, ma anche la cura verso l’utente, che è in fin dei conti il fulcro di ogni videogioco.

I giochi non nascono per chi li crea ma per chi li andrà poi ad utilizzare.

La metrica centrale in ogni videogioco è sempre stata e sempre sarà il coinvolgimento dei giocatori, KPI che comincia ad essere sempre più importante anche all’interno delle aziende.

Se invece una persona volesse avvicinarsi al gamification design, quali passi dovrebbe seguire?

Non c’è una ricetta, se non l’estrema curiosità e trasversalità di interessi, che possa permettere di muoversi velocemente tra settori diversi anche ricongiungendone elementi comuni.

Questo è un elemento che purtroppo rimane ancora assente tanto nei percorsi formativi quanto all’interno delle aziende. Soprattutto perché, all’interno di organizzazioni legate ad ottiche molto funzionali, le persone che potrebbero oscillare tra dipartimenti differenti risulterebbero difficili da gestire.

Però fare tante domande, domande giuste e ponderate, può essere il mezzo per espandere la propria conoscenza ed avvicinarsi ad un punto di vista aperto e divergente e questo ha sempre valore.

Giulia D'Innocenti

Content Creator

Il mio percorso professionale mi ha portato a spaziare dalla psicologia all’ambito della comunicazione e del marketing, passando per il mondo delle risorse umane, specialmente nei settori del recruiting e dell’employer branding. Sono appassionata del mondo digitale e di tutte le sue applicazioni, soprattutto le più innovative. Mi occupo della creazione di contenuti per la comunicazione social e di copywriting per contenuti di blog.

0 0 37

Inserisci un commento