Martina Cogliati
Content Creator
Content creator, appassionata di libri di crescita personale, scrittura creativa e yoga. Il digitale è la mia nuova sfida. Amo filosofare di tutto ciò che mi circonda, possibilmente davanti al mare.
Martina Cogliati
Nell’era della rivoluzione digitale, in cui facciamo continua indigestione di contenuti, è diventato importante riflettere sul potere delle parole.
Quando scriviamo un post o un semplice messaggio, ci chiediamo se le parole che usiamo siano rispettose e costruttive, oppure dannose e taglienti come lame? Forse non sempre.
E forse non sono abituati a chiederselo nemmeno i politici che usano “un linguaggio diretto più alla pancia che alla testa delle persone”. Curioso è il caso del profilo Twitter di Donald Trump da cui il New York Times ha ricavato un articolo molto interessante. Ha raccolto ben 48.000 messaggi di insulti che l’ex presidente USA ha scritto nel periodo 2015-2020 su Twitter. Stiamo parlando di migliaia di parole negative che come proiettili sono state scagliate contro singole persone o intere comunità. Immaginatevi l’effetto boomerang di tutta questa spazzatura digitale.
Non si può più pensare che ciò che scriviamo vaghi nell’etere all’infinito senza mai raggiungere qualcuno e fargli del bene o del male. Le parole sono vere e proprie azioni. Ce lo dice chiaramente la pnl (programmazione neuro linguistica), affermando che le parole hanno la capacità di costruire la nostra identità e la realtà che ci circonda.
Gli strumenti di comunicazione digitale hanno influenzato anche il nostro modo di usare le parole. Sempre più preferiamo pronunciarle piuttosto che scriverle, perché il tempo che abbiamo a disposizione è nettamente inferiore rispetto agli stimoli dei social network.
Come facciamo a stare dietro a tutta questa marea di contenuti? Semplice, ascoltando un podcast mentre prepariamo la cena; selezionando un audiolibro, mentre chattiamo sul divano con un’amica; mandando un audio tra un caffè e l’altro in ufficio, o mentre siamo a fare la spesa. Il potere di queste parole sta tutto nella reattività e nella mancanza di attenzione.
Pronunciamo parole distratte, immediate che spesso arrivano al destinatario, il quale a sua volta, in modo frettoloso, le accoglie e risponde. Ma vi ricordate quando c’erano solo gli sms e stavamo a contare i caratteri per non pagare troppo? Adesso facciamo vocali infiniti da poterli considerare un vero e proprio sequestro di persona!
Nell’era del digitale e del sovraffollamento di contenuti, le parole riacquistano potere attraverso il silenzio. Sembra paradossale, ma non lo è. Vera Gheno, sociolinguista, docente universitaria ed esperta in comunicazione digitale fa passare in modo chiaro il concetto. Dice: “Ridare al silenzio un ruolo centrale nella comunicazione, è un po’ come il non mangiare in una dieta bilanciata. È fondamentale trovare un equilibrio tra il consumo di parole in ingresso e in uscita, e i sacrosanti momenti di pausa”.
Il silenzio è il momento del dubbio e della riflessione, il momento in cui la parola si rigenera e acquista valore.
La grande sfida per noi che siamo immersi nell’era del digitale, è dunque quella di diventare sempre più consapevoli del modo in cui usiamo la parola attraverso i social, per rimanere soggetti responsabili, costruttori di realtà e di legami sociali.
Content creator, appassionata di libri di crescita personale, scrittura creativa e yoga. Il digitale è la mia nuova sfida. Amo filosofare di tutto ciò che mi circonda, possibilmente davanti al mare.