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La colonizzazione digitale. Quali i rischi per il futuro?

Anna Maria Bagnasco

Oggi quando sentiamo la parola colonialismo pensiamo subito ai libri di storia, a qualcosa di caratteristico del nostro passato. A quando inglesi, francesi e spagnoli si avventurarono alla conquista di nuovi mondi. Ma cosa succede se le grandi compagnie digitali americane, che già distribuiscono i loro servizi in gran parte del mondo, rivolgono i loro interessi a quei territori “vergini”, dove internet e le tecnologie devono ancora svilupparsi e diffondersi? Enrico Verga, Senior Strategy Analyst ed esperto in ambito di finanza e geopolitica, ci ha fornito una chiara interpretazione di questo nuovo tipo di colonizzazione che può essere definita “digitale” o “2.0”.

Il nuovo petrolio: i dati digitali

Partendo proprio dal concetto di colonizzazione, possiamo notare come questa abbia subìto un’evoluzione straordinaria attraverso i secoli, diventando più politicamente corretta e meno brutale, ma non per questo meno efficace o pericolosa. Già a partire dagli anni ’70 e ’80 si parla di colonizzazione finanziaria, con il costante indebitamento da parte dei paesi africani e del Sud America in parte mimetizzato dalle teorie economiche di libero mercato sostenute da Adam Smith e Milton Friedman. Nell’epoca attuale, il nuovo petrolio sono i dati digitali, gestiti quasi totalmente da grosse compagnie statunitensi come Facebook, Google, Apple che vogliono colonizzare, con le nuove tecnologie digitali, quei territori che ne sono ancora sprovvisti.

Il lato oscuro della colonizzazione digitale

Il fatto di distribuire ai Paesi in via di sviluppo tecnologie utili al miglioramento della vita quotidiana dei loro abitanti è, di per sé, un gesto positivo e ammirevole, ma ci sono tre grandi questioni che non devono essere sottovalutate:

  • la gestione di una immensa mole di dati digitali sensibili in Paesi dove è assente una chiara normativa sul tema della protezione e del trattamento delle informazioni personali;
  • il controllo degli algoritmi alla base dei software più diffusi;
  • la quasi totale esclusione di competitor locali.

Un mondo diviso dai dati digitali

Se in Europa, Stati Uniti, Russia, Cina e Australia i governi controllano costantemente le attività dei colossi digitali, sanzionando alcuni comportamenti illeciti e promulgando leggi ad hoc per tutelare i diritti dei singoli, in un continente come l’Africa l’appropriazione dei dati, il monopolio e la falsa competizione sono temi trattati marginalmente essendoci urgenze più immediate e pressanti. Alcuni regimi politici, inoltre, sono inclini a trascurare determinate condizioni se lo sviluppo tecnologico può dare loro un vantaggio sui paesi vicini.

Infine, sempre facendo riferimento all’Africa, non esistono delle vere tecnologie autoctone e quelle poche che si sviluppano in nazioni come Nigeria, Sudafrica o Egitto vengono quasi immediatamente acquisite e integrate nelle grosse aziende che hanno risorse maggiori e forti interessi nel mantenere una sorta di esclusivita su territori inesplorati.

Il pregiudizio dell'algoritmo

La colonizzazione digitale si basa su algoritmi, largamente utilizzati nello studio del tracciamento delle persone. C’è però un rischio, perché un algoritmo può essere caratterizzato da cosiddetti bias cognitivi, ovvero espressioni basate su percezioni erronee, pregiudizi e ideologie e che le aziende evitano di modificare per alti costi energetici e finanziari.

Il quadro che risulta dall’analisi fatta è rilevante  ai fini di capire lo sviluppo dell’attuale fenomeno della colonizzazione digitale in determinati Paesi e il rischio per le popolazioni di questi paesi di diventare facilmente controllabili. Questa analisi è però utile anche per diventare più consapevoli di come le tecnologie digitali possano condizionare le nostre vite perché la colonizzazione digitale riguarda tutti noi.

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