Pensavamo fosse un sogno questa pandemia. Meglio un incubo. E forse come dice la Yourcenar, in quell’ #andràtuttobene, che è stato uno slogan per tanti mesi del 2020, c’era un po’ questa, malcelata, speranza. Di uscirne, immutati. Di poter tornare alle nostre vecchie vite. Ma la vera sfida che ci offre la realtà è proprio questa.
Quella di non trasformare le nostre vite in un sogno, o meglio un sonno anestetizzante. Dove domani ci siamo dimenticati quello che è successo. Chi eravamo e chi siamo diventati. Ma soprattutto cosa vogliamo per il nostro futuro.
Così occupandoci di comunicazione, abbiamo accolto l’invito dei colleghi di L’Eco della Stampa di leggere un triennio 2020, 2021 e 2021.
Una sorta di IERI, OGGI, DOMANI, citando il film di De de Sica del 1964.
Abbiamo portato al tavolo 14 brand. O meglio 14 aziende. 14 ecosistemi di stakeholder che si sono trovati ad affrontare quello che Giuseppe Mazza ha definito «L’evento di comunicazione (finora) più gigantesco della storia umana».
Ci hanno raccontato il loro punto di vista. Ma soprattutto ci hanno ricordato, con i loro interventi il significato della parola comunicazione. Comunicazione deriva dalla parola latina ???????????, mettere in comune, composto di cum insieme e munis ufficio, incarico, dovere, funzione.
La comunicazione è un atto sociale
La comunicazione è un’espressione sociale prima ancora che identitaria. Trova un senso nella relazione, ma soprattutto nella sua chiarezza e correttezza. In quel compiere il dovere. Quello per cui è nata. Quello per cui è chiamata. Altrimenti esistono altre parole come: propaganda, disinformazione, mistificazione, distorsione.
La comunicazione è un collettivo plurale, che trova la sua significazione nelle parole chiave che ci hanno regalato i relatori dell’evento. #trasparenza, #concretezza, #coesione, #consapevolezza, #servizio, #opportunità, #trasformazione, #coraggio, #impatto, #cambiamento, #autenticità.
In questo concetto di fare ho segnato 3 grandi direttrici. Il primo è un fare di contenuto.
Francesca Scollo (Fondazione Poliambulanza), Marco Ferrazzoli (CNR), Orazio Ragusa (Azione contro la fame). Tutti e tre ci hanno ricordato come la professione del comunicatore deve prendere sul serio la “provocazione” che il Covid ci ha sbattuto in faccia.
Michele Laterza (Mutti), Alessandro Bizzotto (Conai), Guglielmo Lorenzo (Fondazione Telethon) e Simonetta Cartaregia (Università degli studi di Genova).
Risposte veloci, sinergie e lungimiranza. La comunicazione è un atto immediato, sì, ma impone una visione. Una capacità di leggere oltre il presente, ma partendo dal presente. Questo non è un output aziendale. Fa parte di un processo di significazione dell’azienda. Cambia le condizioni. Può cambiare il paradigma e l’azienda in quanto entità nella collettività deve necessariamente cambiare.
Il concetto di Made in Italy nella comunicazione. Che guarda caso è molto legato al concetto di fare. Parlare di Made in Italy vuol dire fare. Fare in Italia. Operare sul territorio e per il territorio. Quello che faremo ora sarà il nostro futuro. Quello che noi diremo ora, nel concetto che abbiamo condiviso in questo intervento, non è solo il nostro presente, ma anche il nostro futuro.
Non il nostro personale di comunicatori, ma quello del nostro Paese.