Anna Maria Bagnasco
Agente di viaggio e content creator
Anna Maria Bagnasco
Il Global Digital Report 2021 afferma che si è verificato un forte incremento di persone che utilizzano le piattaforme digitali, soprattutto, un aumento dell’iscrizione ai social network, portando gli utenti registrati a 4,20 miliardi.
Partendo da questi dati, non si può fare a meno di interrogarsi sul ruolo svolto dalle piattaforme nella società contemporanea e per farlo abbiamo coinvolto Gabriele Giacomini, ricercatore e saggista.
Il digitale ha messo in pratica l’eliminazione dei processi di intermediazione in numerosi campi.
Possiamo organizzare un viaggio senza rivolgerci alle agenzie, possiamo fare un bonifico senza andare allo sportello della banca, possiamo ricevere informazioni senza comprare un quotidiano.
Questo potrebbe far pensare che il nostro accesso diretto abbia avuto uno sviluppo inarrestabile. In realtà anche le piattaforme digitali che utilizziamo quotidianamente svolgono un ruolo da intermediario tra ciò che cerchiamo e ciò che riceviamo.
Come i media tradizionali, anche le piattaforme sono distributori di informazioni private e con proprie logiche aziendali e commerciali che, seppur legittime, ricoprono solo una parte degli interessi della realtà sociale.
Quindi non è del tutto vero che una persona possa accedere a Internet e fare tutto quello che vuole.
La maggior parte delle volte, l’intermediazione interviene per limitare situazioni di discriminazione, intolleranza, falsa informazione, estremismo.
Ma capita anche che il ruolo da intermediario sia svolto in un modo che possiamo definire quasi inconsapevole. Questo succede perché le piattaforme digitali si affidano anche a degli algoritmi per governare e organizzare il flusso dei dati.
Se si parla di uso delle piattaforme digitali, è impossibile non trattare il tema sempre molto caldo dei dati e della privacy.
Un primo problema di arbitrarietà e ambiguità nel controllo dei dati da parte delle piattaforme si pone proprio nell’utilizzo di questi algoritmi che sono protetti dal diritto industriale e il cui funzionamento non è divulgabile essendo un vantaggio competitivo.
Perciò non solo non possiamo sapere secondo quali criteri siano realizzati e in quali occasioni specifiche intervengano, ma nell’accesso a internet non possiamo eluderli.
Un altro dilemma che si pone è circa l’utilizzo dei dati personali richiesti per creare il target e il profilo dell’utente medio.
Il tema è sotto l’attenzione di tutti, perché bisogna capire come vengono utilizzati i dati che ogni giorno sono raccolti durante il nostro accesso a internet e quali conseguenze hanno sulle dinamiche sociali, politiche ed economiche.
Il caso di Cambridge Analytica su tutti ha reso il controllo dei dati una questione urgente.
L’analisi del trattamento dei dati e del nuovo ruolo di intermediazione assunto dalle piattaforme digitali ha portato alla consapevolezza di una contraddizione interna al mondo del web che può essere definita come il paradosso del pluralismo.
Questo significa che da un punto di vista quantitativo Internet è un contenitore enorme di informazione e comunicazione che genera un pluralismo di voci e pensieri.
Dall’altra parte che Internet non è un contenitore del tutto neutro. Proprio grazie alla profilazione e alla raccolta dati, le piattaforme creano un ambiente a nostra immagine e somiglianza. Ciò significa sia sentirci a nostro agio, circondati da proposte e informazioni interessanti, ma anche avere una continua conferma delle nostre idee e un allontanamento da tutto ciò che si discosta dal nostro modo di essere.
Il rischio che si riscontra è, quindi, quello di avere una tendenza all’uniformità e all’appiattimento e un calo del pluralismo qualitativo, ovvero dell’incontro con l’ignoto, del dialogo costruttivo tra parti opposte, della conoscenza del diverso.