Risorse Umane

Quando il lavoro è davvero ibrido?

Giulia D'Innocenti

Con il grande cambiamento del mondo lavorativo che stiamo vivendo è arrivata anche una ventata di nuovi spunti e modelli che ci ha fatto assaporare tutti i vantaggi di un lavoro flessibile e malleabile.

Ma insieme alle cose nuove, si sa, servono nuove definizioni ed etichette per ricategorizzare la realtà che cambia e comprenderla. Questo è accaduto anche nel caso del lavoro ibrido.

Per fare chiarezza tra le mille sfaccettature di queste nuove modalità abbiamo chiesto il supporto di Barbara Quacquarelli, Professoressa di organizzazione aziendale e gestione delle risorse umane presso l’Università di Milano Bicocca. Occupata su vari fronti tra cui ricerca, formazione e consulenza per le aziende.

Partiamo dalle basi, cosa significa lavoro ibrido?

Le etichette sul tema sono tante così come la confusione.

Smart working è un termine molto diffuso in Italia rispetto all’estero, dove si usano più spesso gli aggettivi agile o remote per descrivere una flessibilità dei tempi, ma soprattutto dei luoghi di lavoro.

Dovendo definire il lavoro ibrido si può dire che questo coinvolga tre dimensioni.

Per prima cosa i luoghi di lavoro, da non intendersi esclusivamente nel dualismo distanza – presenza, ma anche in termini di un modo differente di progettare degli spazi di lavoro.

A seguire i tempi di lavoro, non diamo più uno slot determinato del nostro tempo all’azienda per cui lavoriamo, ma cominciamo ad adattare il lavoro alle nostre esigenze quotidiane, soprattutto nel momento in cui ci dobbiamo occupare di task individuali.

Cambiano quindi tutti gli elementi del processo lavorativo, tanto che la terza dimensione è il lavoro per obiettivi. Dal momento che le nostre attività non sono più misurabili in termini di spazio e tempo, il metro di valutazione deve necessariamente variare.

Per riassumere quindi il lavoro ibrido si basa sulla valutazione delle risorse per obiettivi ed è una modalità di lavoro che consente di scegliere dove e quando lavorare in un’ottica di ottimizzazione della gestione dei propri tempi.

Ma oggi le aziende sono pronte a delegare ed organizzare le risorse per obiettivi, valorizzandone l’autonomia?

C’è speranza che questa tendenza diventi un’abitudine sana. La pandemia infatti ci ha costretti ad un vero e proprio salto evolutivo e anche le persone più scettiche si sono dovute confrontare con queste nuove modalità di lavoro.

In Italia il management si è sempre basato sulla presenza e sul controllo, questo ovviamente è dipeso da forti elementi culturali.

Il cambiamento quindi ha sollevato diverse problematiche, prima fra tutte la mancanza di controllo in un lavoro svolto da remoto. Questa è stato un punto in primo piano, ancora prima di eventuali criticità legate alla produttività o al raggiungimento dei risultati.

“L’ansia da monitoraggio è figlia di una cultura organizzativa rigida”
Barbara Quacquarelli

Nel momento in cui si è cominciato a vedere che la produttività da remoto non registrava alcun crollo, si è andata sviluppando una cultura che orientasse i leader ad una gestione differente.

Cominciando necessariamente a diffondersi il lavoro ibrido si è dovuto riconoscere un altro grado di autonomia alle risorse. Questo ha comportato di conseguenza dei benefici, legati ad una nuova flessibilità conquistata, che nessuno ora vuole più abbandonare.

Siamo passati quindi dalla gestione delle persone alla gestione delle scelte di quest’ultime, ma la domanda è: ci sono già leader pronti per questo tipo di management?

Per questa modalità di gestione serve una grande capacità d’ascolto anche per mantenere alto l’ingaggio e la motivazione della popolazione aziendale.

D’altra parte serve anche molta auto disciplina delle risorse, capacità di lavorare con meno contatto sociale gestendo, tra le altre cose, anche l’ansia che potrebbe derivare dalla responsabilità di prendere decisioni.

Quindi il ruolo del leader deve essere proprio quello di guidare l’autonomia delle persone, non controllarla, per essere un supporto al benessere di ogni risorsa.

Una componente fondamentale del lavoro ibrido è l’activity based working, ovvero la concezione per cui il luogo del lavoro dipende dal tipo di attività da svolgere, così come i tempi. Le persone come possono prepararsi a questo tema e responsabilizzarsi, beneficiando da una parte dell’autonomia, senza dimenticare, dall’altra, l’ottimizzazione del proprio lavoro?

La leadership da questo punto di vista guadagna ancora più rilievo.

Sono proprio i leader che devono guidare le persone in questo percorso, generando un flusso di lavoro efficace che non metta le risorse a rischio di lasciare indietro pezzi fondamentali.

Come abbiamo già sperimentato, le attività di execution vengono di certo ottimizzate da remoto, al contrario quelle di problem solving e quelle che richiedono un alto tasso creativo, che invece funzionano meglio in presenza.

Ecco perché quest’ultime due dimensioni devono essere guidate e gestite dal management.

Se immaginiamo una giornata piena di call, supponiamo di uscirne ancora più stremati rispetto ad una giornata di meeting in presenza. Questo ovviamente per via della quantità, modalità, velocità con cui da remoto si genera un massiccio sovraccarico emotivo ed informativo.

Questo è un esempio esplicativo di un contesto che segue la tecnologia e non le attività da svolgere.

Se pianifichiamo tanti meeting vuol dire che abbiamo bisogno di scambiare idee o informazioni, ma dobbiamo valutare bene con quali canali farlo. Non possiamo dimenticare ad esempio i cloud e tutti gli strumenti della digital transformation.

L’obiettivo deve essere quello di migliorare la comunicazione e il coordinamento tra le persone senza sfociare nell’iperconnessione.

Se tra le attività del giorno c’è un brainstorming allora può essere più utile gestirlo tramite un meeting, magari anche in presenza, che costruisca delle connessioni sociali.

Il lavoro deve essere infatti un amplificatore di connettività, le nuove idee nascono proprio dal contatto con gli altri e anche nel momento in cui dobbiamo affrontare degli imprevisti.

Perciò un buon leader deve gestire le modalità in base alla tipologia di attività, è una questione di progettazione del lavoro.

Il lavoro da remoto ha messo in luce le lacune di alcuni stili di leadership; la nuova leadership, guidata dalla trasformazione culturale, che caratteristiche deve avere?

Nell’idea della leadership del passato, sviluppatasi all’interno di strutture organizzative classiche e pretecnologiche, le parti esecutive raccolgono e lavorano le informazioni, per trasferirle poi all’apice della “piramide” aziendale in modo che i leader possano prendere le decisioni, che a cascata ricadono su tutta la popolazione organizzativa.

Con lo sviluppo tecnologico non c’è più bisogno di questo approccio bottom-up, perché le relazioni sono diventate orizzontali, di conseguenza i vecchi sistemi non si adeguano più alle nuove comunicazioni.

Il leader non può più essere un gestore delle informazioni, ma un gestore del flusso. Bisogna quindi ascoltare le persone che hanno maggiori informazioni, al di là del ruolo gerarchico, per incarnare una leadership proattiva che è parte integrante del flusso di lavoro.

Bisogna risvegliare quella che potrebbe essere definita la leadership “femminile” insita in ogni persona, per connetterci con i bisogni e i desideri delle persone, generando in questo modo una gestione delle persone improntata alla motivazione ed alla valorizzazione del singolo.

Lo scambio di informazioni tra le persone deve essere quindi più organizzato rispetto a prima, il pensiero deve essere strutturato e responsabile e meno automatico, ispirato anche da una cultura che promuove l’apprendimento continuo e nuovi modelli. Tendiamo in questa direzione?

Tendiamo verso un leader che sia designer delle attività e dei vari momenti di lavoro delle persone, con un focus sulla cura delle risorse. Le aziende d’altra parte sono sempre più chiamate ad occuparsi della salute fisica e mentale delle persone.

Il leader deve presidiare queste dimensioni e lavorare molto più in termini di progettazione e pianificazione. Attività che magari in passato non erano molto diffuse perché si tendeva più a gestire la dimensione quotidiana del lavoro.

Ecco perché il cambiamento ha spiazzato molte persone. Perché come abbiamo provato a continuare ad applicare modelli di controllo nel contesto del new normal, si è visto subito che non potevano funzionare.

Se continuiamo a gestire questo immenso cambiamento, di stile vita e dei metodi di lavoro, semplicemente applicando modelli organizzativi utilizzati in condizioni passate, tra l’altro profondamente differenti, non troveremo mai margini di adattabilità.

In qualche modo dobbiamo orientare la nostra mentalità dalla employee experience verso la life experience, bisogna cioè essere progettisti di una visione che lega a doppio filo vita e lavoro.

È questo che le nuove generazioni si chiedono: che vita farò venendo a collaborare con questo team?

All’interno di questa nuova visione, la leadership può essere condivisa tra varie risorse? E questo che ruolo può avere in termini di valorizzazione della persona?

Il cambiamento ha generato anche la figura dei leader informali, fondamentali per i processi collaborativi e per la progettazione organizzativa del futuro.

Negli scenari del prossimo futuro sarà proprio la condivisione della leadership ad essere un punto di forza.

Non si può parlare solo di autonomia dei singoli, ma anche di autonomia dei team di lavoro, per semplificare i processi e le comunicazioni (soprattutto nelle grandi aziende).

Anche in questo caso non siamo noi a doverci adattare agli strumenti tecnologici. Per fare un esempio: non c’è bisogno di attivare, per ogni attività, un network più vasto del necessario.

Questo vorrebbe dire prediligere le possibilità di connessione rispetto all’efficacia delle comunicazioni; la tendenza deve essere invece quella di decentralizzare, non connetterci per ricreare da remoto dei processi legati a strutture organizzative ormai superate.

Proprio nel momento in cui si decentralizzano i flussi i la leadership dei team è fondamentale: ciascun gruppo deve avere autonomia e strumenti a sufficienza per cooperare senza fruire di un numero eccedente di connessioni.

Le organizzazioni del futuro avranno quindi tre grandi macro aree su cui fondare la propria stabilità: autonomia e responsabilità delle risorse; flessibilità del lavoro e vita equilibrata e un supporto tecnologico oculato che non danneggi il benessere delle persone. Concetti ormai metabolizzati o ancora lontani traguardi di un new normal che ancora non stiamo vivendo?

Giulia D'Innocenti

Content Creator

Il mio percorso professionale mi ha portato a spaziare dalla psicologia all’ambito della comunicazione e del marketing, passando per il mondo delle risorse umane, specialmente nei settori del recruiting e dell’employer branding. Sono appassionata del mondo digitale e di tutte le sue applicazioni, soprattutto le più innovative. Mi occupo della creazione di contenuti per la comunicazione social e di copywriting per contenuti di blog.

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